Se vogliamo parlare di città esoteriche in Italia, non possiamo fare a meno di sottolineare l’importanza in questo campo della città felsinea, ovvero Bologna. E se trattando di Bologna vogliamo identificare un luogo che più di altri sia l’emblema del mistero dobbiamo per forza parlare di un luogo particolarissimo: il complesso delle sette chiese di Santo Stefano. Prima di accennare alle parti più “strane” del complesso, è bene ripercorrerne un po’ di storia e vedere come il complesso è costituito.
Un po’ di storia
Il complesso stefaniano è sicuramente uno dei più antichi luoghi di culto cristiani edificati in città dopo l’avvento del cristianesimo in Italia. Sulla data della costruzione iniziale non c’è certezza. La tradizione vuole che sia stata edificata la prima chiesa, quella del Santo Sepolcro, da san Petronio (vescovo a Bologna tra il 431 e il 450, che venne sepolto proprio all’interno di questa chiesa). Con l’avvento del cristianesimo, Gerusalemme e i luoghi santi affascinavano sicuramente le nostre popolazioni che spesso sognavano di potercisi recare non solo per contemplare i luoghi sacri, ma probabilmente per farsi un’idea di quanto veniva raccontato da coloro che evangelizzavano nuove terre, come le nostre. E poiché a quei tempi pressoché nessuno poteva recarsi agevolmente in tali luoghi, molte città usavano ricreare gli ambienti che avevano visto nascere, crescere e morire Gesù. E anche Bologna non era da meno in questo, se pensiamo che tutta la zona dove ora sorge Santo Stefano, aveva rappresentazioni dei luoghi santi: nell’odierno Vicolo Pepoli vi era una piscina chiamata Piscina di Siloe, l’odierna Via Gerusalemme (che raggiunge la Basilica di Santo Stefano) rappresentava la strada che Gesù compì in sella ad un asino per recarsi a Gerusalemme, la vicinissima Chiesa di San Giovanni in Monte (chiamata all’epoca Monte Oliveto) rappresentava il monte Calvario e l’uliveto ai suoi piedi dove Gesù sudò sangue prima di essere messo a morte, e fra Santo Stefano e San Giovanni in Monte, dove ora c’è un grande slargo della strada era stato fatto scavare un fossato che doveva rappresentare la Valle di Giosafat. Quindi nessuna meraviglia se proprio questo luogo sia stato deputato alla costruzione della copia del Santo Sepolcro di Gerusalemme e dei luoghi a memoria dei vari passaggi del racconto evangelico della passione di Cristo.
Il vescovo Petronio decise quindi di edificare il Santo Sepolcro accanto alle tante ricostruzioni dei luoghi santi, e trovò che fosse conveniente costruirlo sopra un più antico luogo di culto pagano, un tempio Isiaco costruito da una ricchissima matrona bolognese intorno al 100 d.C. a circa 80 mt dalla Via Emilia; i templi pagani solitamente erano costruiti proprio accanto alle grandi vie di comunicazione, per favorire il culto da parte di chi si spostava per lavoro o per conquiste.
Dopo la costruzione della Chiesa del Santo Sepolcro con specifico fonte battesimale, furono costruite la Chiesa dei Santi Vitale e Agricola (V secolo, ma rifatta nell’VIII e XI secolo) dove Petronio conservò i resti dei primi due martiri bolognesi, dentro a due sarcofagi tuttora presenti, la Chiesa di San Giovanni Battista o del Crocifisso (VIII secolo, longobarda), e la Chiesa della Trinità o del Martyrium (conosciuta anche come Chiesa del Golgota).
Il nome “Sette Chiese” ha più un significato simbolico e sacro, piuttosto che definire esattamente quante chiese sono presenti nel complesso. Il complesso però può essere tuttora suddiviso in sette zone che, nel loro insieme, formano una ricostruzione dei luoghi della Passione di Cristo. Ordinando queste zone secondo il normale percorso di visita che oggi è possibile seguire troviamo: 1) la Chiesa del Crocefisso
2) la Cripta (sotto la Chiesa del Crocefisso)
3) la Chiesa del S. Sepolcro
4) il Cortile di Pilato
5) la Chiesa della ss. Trinità o del Martiryum
6) la Chiesa dei ss. Vitale ed Agricola
7) il Chiostro e la Cappella della Benda
Gli edifici sono stati continuamente rimodellati e quello che è oggi visibile non è corrispondente alle strutture originarie. Delle reali sette chiese originarie, incastonate fra loro, ne rimangono oggi solo quattro a causa dei tanti restauri effettuati nei secoli, ma attorniate da una serie di cappelle minori che però hanno anch’esse origine molto antiche.
La Chiesa del S. Sepolcro (o del Calvario)
Come abbiamo detto la Chiesa del Santo Sepolcro è la più antica del complesso: originaria del V secolo fu completamente ristrutturata nel secolo XII. Il suo interno fu costruito a imitazione del Santo Sepolcro a Gerusalemme, così come era stato disegnato da Costantino Monomaco, e non come è quello attuale. Dall’esterno l’edificio appare di forma ottagonale, mentre l’interno, a pianta centrale è sormontato da una stupenda cupola dodecagonale. Presenta 12 colonne di marmo e laterizio, sette delle quali sono di marmo africano, risalenti al II sec D.C. e sono rimaste nella loro posizione originaria: contornanti cioè il ninfeo del Tempio Isiaco. Alcune colonne originali sono state quindi affiancate da nuove colonne di supporto, mentre altre sono state proprio sostituite dalle nuove. Oltre alle 12 vi è una tredicesima colonna di marmo cipollino nero, di origine africana, un po’ scostata rispetto alle altre, che simboleggia la colonna dove venne flagellato Gesù. Su di essa molti segni di presunte flagellazioni, incisioni di pietà popolare, incavi dove i flagellati potevano aggrapparsi con le mani e in alto una scritta che recita: “Questa colonna rappresenta quella alla quale fu flagellato N.S.G.C. e si acquistano 200 anni d’indulgenza ogni volta che si visita”. Questa colonna, guardata dal centro della chiesa, dove c’è l’edicola del Sepolcro, indica perfettamente l’Est.
Al centro della costruzione vi è appunto un’edicola che, fino all’anno 2000, custodiva le reliquie di san Petronio (ora traslate nella Basilica omonima), qui rinvenute nel 1141. L’edicola venne costruita solo nel XIII secolo (periodo longobardo e templare) e rappresentava il sepolcro di Gesù. Su di essa sono stati raffigurati tre bassorilievi: al centro l’Angelo che annuncia la resurrezione di Cristo, a sinistra le “tre Marie” che si recarono al sepolcro trovandolo vuoto, a destra tre soldati dormienti con tipici costumi longobardi. A sinistra dell’edicola vi è un pulpito con la rappresentazione dei quattro evangelisti, mentre a destra una scala in marmo (eseguita nel 1883) porta alla sommità del sepolcro dove vi sono una croce e una sindone.
Purtroppo sono andati del tutto perduti, con i restauri di fine ‘800, gli affreschi duecenteschi che ricoprivano la volta e le pareti di questo splendido battistero: i pochissimi resti sono conservati nel museo della basilica.
Girando attorno all’edicola, fra le colonne troviamo, nel pavimento, un pozzo ricoperto da una grata che contiene l’acqua di una sorgente che viene identificata con l’acqua del Giordano (il Giordano era il fiume dove Gesù fu battezzato), ma che, come attestano gli archeologi, riporta alla sacra fonte del complesso isiaco preesistente, rappresentante perciò il Nilo (il culto della dea egizia Iside richiedeva sempre la presenza di una fonte d’acqua sorgiva).
In ogni caso fu considerata nel medio evo un’acqua miracolosa per la guarigione di ogni male. Folle di malati accorrevano a questa sorgente dalla città, dai dintorni e perfino da Roma. E’ attestato che nel 1307 più di 150 malati, sordi, muti, ciechi ed indemoniati, guarirono in un solo giorno. L’affluenza era tale che il 22 maggio di quell’anno l’intera piazza venne coperta da tendoni per proteggere i pellegrini giunti da tutti il mondo in attesa di entrare a bere l’acqua miracolosa.
Legate a questo luogo vi sono antichissime usanze, che solo negli ultimi anni si stanno un po’ perdendo. La piccolissima cancellata che chiude il sepolcro (dove vi erano le spoglie di Petronio) viene aperta una settimana l’anno, dopo la celebrazione della Veglia Pasquale, alla presenza dei Cavalieri e delle Dame del Santo Sepolcro, tuttora presenti a Bologna, durante una suggestiva cerimonia detta “La Recognizione”. Si può strisciare dentro (il passaggio è davvero molto stretto) per venerare le spoglie di Petronio e acquistare così l’indulgenza plenaria. Il giorno di Pasqua, prima dell’alba, l’accesso al sepolcro era riservato alle “Maddalene”, le prostitute bolognesi, che percorrevano in ginocchio tutta la chiesa del Crocefisso, recitando una speciale preghiera che ricordava il perdono della Maddalena da parte di Cristo, ma la cui vera dicitura non veniva rivelata. Mentre per il resto dell’anno l’accesso ai questi luoghi sacri era loro vietato. Sempre nel periodo pasquale, le donne incinte di Bologna praticavano il rito propiziatorio dei “Passi”. Esse camminavano pregando intorno al sepolcro e, con non poca difficoltà vi entravano, trentatré volte (una per ogni anno di vita di Gesù). Al termine del trentatreesimo giro, le donne si recavano poi nella vicina chiesa del Martyrium per pregare dinanzi all’affresco della Madonna Incinta e nella cappella della Consolazione, davanti alla Madonna delle gravide.
La Chiesa dei Ss. Vitale ed Agricola
La chiesa dei Santi Vitale ed Agricola risale al IV secolo (sembrerebbe quindi la più antica del complesso stefaniano) e conserva i sarcofagi dei due martiri, un servitore e il suo padrone, vittime della persecuzione ai tempi di Diocleziano (305 D.C.). In realtà non è chiaro se sia stata edificata prima questa chiesa e poi quella del battistero-santo sepolcro o viceversa. Quello che sappiamo è che già nel 393 Ambrogio, vescovo di Milano, chiede di traslare i resti dei due martiri da Bologna a Milano.
All’interno della chiesa vi sono resti di pavimento musivo romano, visibili attraverso un vetro, due sarcofagi altomedievali che la tradizione vuole fossero quelli di Vitale ed Agricola, con figure di animali (leoni, cervi e pavoni). Nella navata destra, sulla parete, una croce viene identificata come quella del supplizio di Sant’Agricola (in realtà risale ad un’epoca successiva). Vitale ed Agricola furono martirizzati nell’anfiteatro bolognese (situato nelle vicinanze di Santo Stefano, all’inizio di via San Vitale, dove sorge oggi la Chiesa dei Santi Vitale ed Agricola in Arena). Solo 87 anni dopo se ne rinvennero i resti in un cimitero ebraico sito nelle vicinanze, all’inizio dell’attuale Strada Maggiore, che furono poi custoditi in Santo Stefano.
Le colonne della chiesa hanno capitelli tutti di diverse fatture, probabilmente dovuti ai tanti rifacimenti della chiesa in epoche diverse: infatti essa fu rifatta nell’VIII secolo e successivamente nell’XI secolo. L’altare principale, costituito da un’ara pagana rivoltata (come era d’uso fare nelle costruzioni cristiane dell’epoca, in spregio al paganesimo), è addossato alla parete di fondo.
All’inizio del XV secolo nella stessa chiesa fu rinvenuto un sepolcro paleocristiano recante la scritta “Symon”: questo fatto generò un’ondata di commozione generale che fece identificare il sepolcro con quello di Simon Pietro. Questa notizia attirò numerosi pellegrini, distraendoli da Roma che era la meta classica di pellegrinaggio. Il pontefice, papa Eugenio IV, allora reagì con furore: fece scoperchiare la chiesa, la fece riempire di terra e la lasciò in questo stato per una settantina d’anni. Successivamente, per intercessione dell’arcivescovo Giuliano Della Rovere, la chiesa venne restaurata e riaperta al culto. Un’iscrizione sulla porta laterale ricorda l’evento: “JUL. CARD. S. P. AD VINC. RESTITUIT”.
Chiesa della Trinità o del Martyrium
Chiamata anche chiesa della Santa Croce, o del Calvario, o della Trinità è la terza chiesa del complesso voluto dal vescovo Petronio e, insieme alle precedenti due chiese, racchiude l’area del preesistente tempio isiaco. In origine doveva essere edificata in forma di basilica a cinque navate, con abside antistante il santo giardino (cortile di Pilato) e la facciata verso est, esattamente com’era in origine il Santo Sepolcro a Gerusalemme voluto da Costantino. Forse per mancanza di fondi Petronio non riuscì a completare l’opera che rimase così incompiuta. Successivamente, con l’avvento dei Longobardi, divenne un Battistero. Agli inizi del mille, durante le ricostruzioni operate dai benedettini, ci furono parecchie incertezze su come terminare l’opera, considerando che anche l’originale Santo Sepolcro era stato pesantemente alterato e proprio in quegli anni il califfo al-Hakim ne operava la distruzione. Dopo le ristrutturazioni tardo ottocentesche che hanno stravolto e rovinato la maggior parte del complesso, attualmente il Martyrium si presenta diviso in cinque navate, con la facciata antistante il cortile e l’abside rivolta a est, entrambe costruite in stile neoromanico sul modello del Santo Sepolcro edificato dai crociati. Dal tempo delle Crociate, fino al 1950, nella cappella centrale era custodita una reliquia della Santa Croce. Non si presenta ora come una vera e propria chiesa ma come un porticato alla fine del cortile di Pilato.
Attira l’attenzione nell’ultima cappella, entrando a destra, il grande gruppo ligneo dell’Adorazione dei Magi, con statue a grandezza d’uomo. Si tratta del più antico presepio conosciuto al mondo composto da statue. L’opera fu prima scolpita da tronchi di tiglio e di olmo, forse nell’ultimo decennio del XIII secolo da uno anonimo scultore bolognese. In questa chiesa ci sono anche resti d’affreschi trecenteschi, in particolare un lacerto che mostra Sant’Orsola con le sue compagne di martirio ed una Madonna incinta che, oltre ad essere di pregevole fattura, commuove per il gesto amorevole con cui si carezza la prorompente pancia; l’altra mano della Vergine regge un libro.
L’ultima cappella a destra è stata dedicata, in tempi recenti, ai Bersaglieri, ma è priva di contenuti artistici. Interessante è invece una tomba che si trova sul pavimento, con inciso il nome di Julia Afrodite: questa contiene i resti di una donna imbalsamata del V secolo morta a 29 anni.
La Chiesa del Crocifisso
E’ il primo edificio visibile sulla piazza partendo da destra ed è la prima Chiesa in cui entriamo nel complesso stefaniano. Probabilmente questa chiesa ha origini longobardiche: fu eretta infatti nel 736-744 dai re longobardi Ildebrando e Liutprando. All’esterno, il balcone laterale (che ora non ha più accessi) risale invece al 1488 ed era usato per l’esposizione delle reliquie e le benedizioni al popolo. L’interno ha una sola navata con il presbiterio fortemente sopraelevato in stile barocco; qui, sospeso al centro dell’arco soprastante, si trova il Crocifisso su tavola della fine del 1300 che dà il nome alla chiesa. Prima che il Senato bolognese costruisse l’alto presbiterio intorno alla metà del XVII secolo, sorgeva in questo punto una sala rappresentante la Casa di Pilato, con un sedile di pietra dal quale Pilato, secondo la tradizione, avrebbe interrogato Gesù.
Entrando a destra si scorge un primo residuo di affresco del trecento raffigurante la Madonna con Bambino con San Biagio e San Giovanni Battista, seguito da un olio su tela rappresentante il Martirio di Santo Stefano del pittore milanese Pier Francesco Cittadini, allievo di Guido Reni, della metà del ‘600. Entrando a sinistra invece, dopo un Miracolo di San Mauro Abate di Teresa Muratori, è interessante vedere la Pietà di policroma di Angelo Piò (1690-1770): essa fu costruita impastando le carte da gioco. Le carte venivano raccolte dalle beghine del 1700, facendo il giro delle taverne dove era in uso il gioco, venivano poi portate a macerare per ricostruirvi immagini sacre che servivano a espiare i peccati di mariti e figli dediti al vizio.
Superata la Pietà, sempre sulla sinistra troviamo il monumento sepolcrale della famiglia Aldrovandi del XVI secolo e, in un arcata cieca della facciata della cripta, un frammento di affresco detto la Madonna del Paradiso di Michele di Matteo del XV secolo.
Dalla chiesa si accede alla cripta. Essa fu costruita nel 1019 dall’abate Martino e vi furono traslate le spoglie dei Santi Vitale ed Agricola il 3 marzo del 1019. E’ composta da 5 piccole navate, separate da colonne marmoree diverse per altezza, per tipo di marmo utilizzato e per i capitelli. La sua bellezza è racchiusa proprio nelle 12 colonne, di differenti dimensioni ed altezze tanto che per portarle allo stesso livello sono state escogitate le soluzioni più diverse.
Le spoglie dei Santi Vitali e Agricola si trovano nell’urna sopra l’altare, mentre ai lati di esso vi sono due affreschi cinquecenteschi che illustrano il martirio di Vitale ed Agricola. La cripta rappresenta il luogo dell’Ultima Cena, nella geografia dei luoghi gerosolimitani bolognesi.
Il Cortile di Pilato
Uscendo dalla chiesa del Santo Sepolcro, si attraversa il Cortile di Pilato, nel quale balza subito agli occhi l’enorme bacile marmoreo al centro, donato dai re longobardi dei quali abbiamo accennato prima. Il bacile è denominato “Catino di Pilato” o “Santo Graal” bolognese, è a forma di calice e reca un’iscrizione sotto il bordo: «+ VMILIB(us) VOTA SVSCIPE D(omi)NE DDNNR LIVTPRAN ET ILPRAN REGIB(us) et D(om)N(o) BARBATV EPISC(opo) S(an)C(te) HECCL(esie) B(o)N(onien)S(i)S HIC IHB SVA PRECEPTA ORTVLERVNT VNDE VNC VAS IMPLEATVR IN CENAM D(omi)NI SALVAT(ori)S ET SI QVA MVNAC MINVERIT D(eu)S REQ(uiret)». Il significato dell’iscrizione non è ancora chiaro. Rappresenta naturalmente il catino dove Pilato si lavò le mani della condanna di Gesù.
Il cortile è delimitato a destra e a sinistra da due porticati in stile romanico con colonne cruciformi. Lungo il porticato che circonda il cortile sono poste alcune lapidi mortuarie, affreschi e cappelle: quasi tutti gli elementi ricordano passaggi del racconto evangelico della Passione.
Sotto il porticato di destra, troviamo delle lapidi, una delle quali ha ben visibili un paio di forbici (forse di un sarto), mentre sopra questa tomba vi sono tre volti rappresentanti Gesù, Maria e San Giovanni, affrescati dal pittore Jacobus nel XIV secolo. E’ molto particolare questo resto di affresco, perché lascia intravvedere un san Giovanni quasi più grande (o perlomeno alla pari) con Gesù crocifisso e che mantiene una posa stranissima: il volto appoggiato sulla mano chiusa e con uno sguardo che sembra sottilmente divertito e provocatorio. Poco dopo una cappella che ha, al centro di una finestra, su una colonna, un gallo di pietra risalente al XIV secolo, chiamato “Gallo di S. Pietro”. Nella cappella stessa una Madonna detta delle partorienti, perché da secoli le donne in gravidanza vanno in questo luogo a chiedere la grazia di una buona gravidanza e un parto senza intoppi. Più avanti una piccola croce incassata nel muro e sotto una tavola di legno con la scritta “Questa crocetta rappresenta il balcone della loggia di Pilato sopra del quale Gesù Cristo deformato dalla flagellazione e dalla coronazione di spine fu mostrato al popolo. Ecce Homo”.
Lungo il porticato di sinistra invece abbiamo, sopra una lunetta, il volto di Gesù sofferente, poi tre cappelle. Nella prima cappella, di san Girolamo, si trova il dipinto di Giacomo Francia rappresentante il Crocifisso con la Maddalena e due Santi del 1520. Proseguendo sotto il portico si giunge all’antichissima Compagnia dei Lombardi (Comacini?) e si raggiunge la chiesa della Madonna di Loreto, dove si trova l’immagine della Vergine Nera lauretana, patrona degli aviatori ai quali la cappellina è dedicata. La Compagnia dei Lombardi è la sede di un’antica compagnia d’armi sorta intorno al 1150 ed ancora oggi in vita. Associa nobiluomini lombardi e trevigiani che si riuniscono ancor oggi la prima domenica di febbraio di ogni anno per assistere alla messa della Purificazione della Vergine, eleggere le cariche annuali e distribuire candele e focacce, secondo un antico rito di origini oscure. Di essa fanno parte i figli maschi di cinquanta nobili famiglie. Quando una famiglia non ha più discendenza maschile essa viene sostituita, in modo da mantenere costante il numero di membri. L’attuale sede conserva molte opere d’arte del XIV e XV secolo tra cui Santa Caterina d’Alessandria di Simone di Filippo detto dei Crocefissi, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista e Santa Maria Maddalena.
Sulle pareti del Cortile di Pilato si trovano vari simboli disegnati con i mattoni tra cui la corona di alloro, simbolo di Santo Stefano, il cui nome in greco significa incoronato.
Il chiostro medievale e il museo
Il magnifico chiostro è caratterizzato dal fatto di essere su due piani: nel “porticato” inferiore (probabilmente anteriore al Mille) potevano pregare i laici, mentre il loggiato superiore era riservato ai monaci, segno quindi di clausura monastica; quello superiore riporta un colonnato in stile romanico, probabilmente opera di Pietro d’Alberico nella metà del XII secolo. Dal chiostro è ben visibile il campanile del complesso, originario del XIII secolo, ma sopraelevato nell’Ottocento. Sotto al portico del lato settentrionale del chiostro è situata l’entrata del museo di Santo Stefano. Al centro del chiostro vi è un pozzo in arenaria, costruito nel 1632.
Il museo è costituito dalla vecchia sacrestia e dalla cappella della Benda. La cappella della Benda viene così chiamata perché vi si trova una striscia di tela, che la tradizione vuole sia stata usata dalla Vergine Maria durante il supplizio di Gesù. La Benda della Madonna fu scoperta nel XII secolo dal vescovo Enrico della Fratta, durante le ricerche del corpo di San Petronio. La tradizione voleva che San Petronio l’avesse portata con sé da Gerusalemme. Essa si ritiene imbevuta del sudore di Cristo. Il lunedì di Pasqua veniva mostrata al popolo dal pulpito esterno della Chiesa del Crocifisso. In questo caso a tutte le prostitute era interdetto l’accesso alla piazza ed ai vicoli in modo che non potessero vedere la reliquia. Vi sono poi dipinti di vari santi, le storie della vita di San Petronio; il reliquiario della testa di San Petronio, opera di oreficeria di Jacopo Roseto del 1380; una Madonna con il Bambino e San Giovannino; l’affresco della Strage degli Innocenti di scuola lucchese del XIII secolo, parte del ciclo decorativo della cupola del Santo Sepolcro. Subito dopo il Museo si trova la Farmacia, dove si trovano curiosità e produzioni locali dei monaci.
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