IL VIAGGIO ONIRICO E INIZIATICO A MONTEGABBIONE

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  Articolo pubblicato dalla rivista Italia Misteriosa dell’aprile 2015

 

Chi ha mai letto o sentito parlare della Hypnerotomachia Poliphili (Amoroso combattimento in sogno di Polifilo), il libro di Giuseppe Colonna del 1467? Probabilmente pochissimi; eppure è un testo molto importante nel panorama esoterico e iniziatico del Rinascimento che ha fatto da sfondo anche all’edificazione del Giardino dei Mostri di Bomarzo e al famoso quadro de La Tempesta di Giorgione.

Se sono rari coloro che hanno letto la Hypnerotomachia sono ancora più rari coloro che sanno dell’esistenza di un’altra grandiosa costruzione, oltre Bomarzo, ispirata allo stesso testo, iniziata negli anni ’50 del secolo scorso, in provincia di Terni: La Scarzuola a Montegabbione.

Trovare questo luogo ameno è assai difficile, soprattutto quando la bella stagione è passata e l’unica stradina sterrata che la raggiunge è impraticabile in assenza di un fuoristrada. Ma questo luogo è ancor più di difficile accesso perché è privato e il suo proprietario attuale non sempre è ben disposto a farlo visitare.

La Scarzuola è già famosa da alcuni secoli per aver visto il passaggio di Francesco d’Assisi nel 1218: in questo luogo è stato costruito un santuario e un romitaggio che negli anni ha visto grossa affluenza di pellegrini. Il nome ha origine da “scarza”, la pianta palustre con la quale Francesco costruì il proprio riparo, secondo la leggenda e che ancora si può vedere in questo luogo.

Nel 1956, un famoso architetto milanese, Tommaso Buzzi, massone, su suggerimento del marchese Misciattelli che ne era l’allora proprietario, acquistò la chiesina e il convento de La Scarzuola, restaurò questo luogo per farne la sua dimora e dietro essa, iniziò una grandiosa costruzione esoterica, “l’autobiografia di pietra, la città ideale”, della quale ora possiamo essere spettatori. L’architetto tentò di porre in stretta relazione la “Setta d’Amore” con quella dei “Muratori o Architetti”, riferendosi alla “dottrina misteriosa de’ Liberi Muratori che fan quegli edifici allegorici, non diversa dalla dottrina de’ Gai Amanti che facevano quelle finte moine”[1]. Buzzi lavorò a questo sito per ben 24 anni, ma la sua opera rimase in alcune parti incompiuta: infatti è tuttora in edificazione e ampliamento per opera dell’attuale proprietario Marco Solari, che è anche il pronipote di Buzzi e che unico, di tutta la famiglia e gli eredi, ha accettato di andare a vivere in questo posto e perpetuare la memoria e l’opera di Tommaso.

Giunti in questo luogo ameno, ci si trova davanti a un alto muro di cinta e a un portone di legno con sopra il classico stemma francescano e ai lati due grandi croci con i simboli della passione; solo in disparte, a una ventina di metri dall’ingresso si trova la scritta “La Scarzuola” in metallo dorato che riporta la simbologia francescana: fin qui quindi nulla lascia presagire l’esoterismo di questo luogo.

Anche quando il proprietario viene ad aprire si accede a un ampio cortile interno, davanti la chiesetta e ci si comincia a chiedere se per caso non si sia sbagliato sito. Marco comincia a parlare continuando a saltare nell’eloquio tra la storia del luogo e il sogno che ha preso forma, tra il testo dell’Hypnerotomachia e le continue modifiche apportate alla costruzione, tra Francesco giullare di Dio e i giullari-attori del “Teatro della Memoria” di Delminio. Ogni tanto si fa fatica a seguirlo e lui volutamente e sapientemente scansa le domande con eleganza o offre risposte sibilline dalle quali ognuno può trarre il significato più confacente alla propria idea.

Ma poi, mentre si avvia verso un arco laterale, entrando in un lussureggiante giardino, si fa serio: “State per entrare in un sogno che ha preso forma nella costruzione, nessuno può entrare in un sogno manenendo i propri schemi mentali, perché il sogno stesso li dissolve. Ognuno costruisce il proprio percorso, il proprio sogno a modo proprio. Qui domina l’elemento acqua, l’elemento femminile”. Ed è l’acqua che ci introduce nel sentiero iniziatico del giardino segreto: ci scorre accanto emergendo dalla terra e ritornando ad essa attraverso varie antiche installazioni, fino ad arrivare a una vasca, una fonte con sopra una prima costruzione di Buzzi: il leone che porta sulla schiena un simbolo simile a quello dell’infinito, posto però in verticale. Marco si ferma e comincia il racconto della Hypnerotomachia Poliphili.K20D8049

 Davanti tre archi vegetali, sono le famose tre porte di Poliphilo fra le quali si dovrà  scegliere la propria strada: porta della vita contemplativa (gloria Dei), della vita mondana (gloria mundis), dell’amore (gloria amoriis); e poco distante un guardiano di pietra dalla testa di falco. Marco continua a fare domande e a dare risposte evanescenti, in modo da portarci un po’ in confusione, da far saltare le nostre certezze e le nostre conoscenze e ci chiede quale porta avremmo scelto; ma poi, senza aspettare la risposta ci invita a seguirlo in un lungo percorso nel verde che ci allontana anche dalla nostra eventuale scelta.

Cominciamo ad essere frastornati. Nel cammino diversi simboli e messaggi che richiamano gli archetipi di Jung, la mitologia, la religione, la musica, l’architettura, l’astronomia, l’astrologia, l’alchimia e altro ancora. Sembrano posti lì senza una logica, ma ognuno di essi può far risuonare nell’inconscio sentimenti, emozioni, ricordi e fantasie, secondo la propria storia e cultura personale o la propria fantasia. Veniamo condotti dall’altra parte di uno dei sentieri, passiamo attraverso due colonne che hanno inciso “festina tardo” (affrettati attardandoti) ed entriamo in una costruzione a forma di barca, immersa nell’acqua che all’interno racchiude diverse simbologie: ormai siamo sulla barca che è salpata, non abbiamo più punti di riferimento se non le stelle e non sappiamo dove il viaggio ci condurrà; intorno a noi solo verde e acqua.

Torniamo indietro e improvvisamente ci troviamo sulla enorme scenografia teatrale del sogno di Buzzi. Il cuore si ferma improvvisamente in gola: non avevamo avuto nessun presentimento di ciò che si sarebbe parato davanti ai nostri occhi. Ci troviamo sulla cima di un anfiteatro a gradoni che scendono fino a un labirinto; alla nostra destra e alla nostra sinistra due palchi circolari dipinti con i simboli del sole e della luna e dietro di noi un grande cavallo alato: Pegaso. Pegaso, nella mitologia greca è un animale libero e selvaggio che si lascia addomesticare momentaneamente solo per aiutare la dea Bellerofonte ad uccidere la Chimera. Esso è il simbolo della vita spirituale che ha vitalità propria ed è capace di volare incurante dei problemi terreni e in grado di uccidere le illusioni.

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Oltre l’anfiteatro un’enorme costruzione che rappresenta una nave. Al centro della chiglia la rappresentazione del terzo occhio con ai lati due figure di chimera che suonano la lira: l’apertura della coscienza, di ciò che va oltre la realtà, è sempre distolta dalle fantasticherie, da ciò che appartiene all’illusione e alla vanità.

Avvicinandoci alla costruzione abbiamo davanti un grande orologio con le lancette che vanno all’indietro, sulla cima un angelo, e sulla porta un occhio e un disegno simile alla clessidra con le ali: dobbiamo slegarci dal concetto tempo per poter compiere il nostro viaggio spirituale; stiamo dirigendoci verso una dimensione atemporale dove lo Spirito ha campo libero.

Passiamo accanto alla statua della dea madre. Ai suoi lati due porte, una con i simboli delle arti e del sapere e l’altra con quelli delle scienze e della guerra (qui si riconoscono chiaramente i simboli della massoneria).  K20D8110

Si procede tra varie altre simbologie, fra le quali spiccano un po’ ovunque le api d’oro: esse stanno a significare che è in natura che troviamo le prime edificazioni e quindi i veri primi architetti. Le api ci richiamano alla sacralità della Grande Opera, alla riconnessione dell’architettura con il GADU, il Grande Architetto dell’Universo di concezione massonica. Ma non siamo neanche a metà del nostro viaggio iniziatico.

Ci avviciniamo così a un’altra costruzione, poco distante, a forma triangolare che sembra una cappella, ma ha il tetto a tronco di cono e una porta con le stelle che racchiude nascostamente le iniziali di Tommaso Buzzi. Anche le chiese, le religioni, portano a Dio fino a un certo punto ma non sono costruzioni complete.

Scendiamo un declivio pratense e giungiamo a una porta che rappresenta una balena: il nostro percorso subisce continue morti e resurrezioni per inoltrarci in ambienti e prospettive sempre nuovi e inusuali. Attraversiamo la porta ed entriamo in un lungo viale di pietra, al centro del quale ritroviamo l’emblema di Buzzi: il viale della meditazione. K20D8138

Esso ci porta a una torre appena cominciata, interrotta e diroccata, che diviene il simbolo dell’insoddisfazione ed impotenza dell’umanità intera: nulla è eterno di ciò che è terreno e le nostre certezze continuano a crollare durante il nostro cammino. Infatti da qui parte una salita fino in cima alla collina, fra moltissime colonne che tentano ancora una volta di ostacolare e deviare il nostro percorso che faticosamente riprendiamo. E alla fine della salita una scritta “Amor Vincit Omnia” (l’amore vince tutto). Ci fermiamo un attimo per cercare di digerire almeno un po’ i tanti simboli appena visti, ma Marco incalza e corre avanti dicendo di non fermarsi troppo a riflettere.

Si giunge così a un tempietto con un mazzo di fiori aurei sopra: probabilmente simbolo della consumazione dell’amore dopo tanta fatica. Ma il nostro percorso deve ancora raggiungere l’interno della costruzione centrale, quella a forma di barca che riempie la collina, dove troviamo vari specchi d’acqua, simboli lunari e femminili, che richiamano all’eros e all’agape. Ma a questo punto la simbologia è talmente ricca che è impossibile descriverla ed è meglio lasciare alla scoperta di ciascun visitatore il loro risuonare interiore.

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Entriamo nella costruzione enigmatica attraverso una stretta porta di pietra a forma di serratura che ci immette in un cortile interno, al cospetto di un enorme cipresso folgorato da un fulmine, che funge da omphalos, da albero maestro della grande nave, da congiunzione fra terra e cielo, fra liberi muratori e il GADU. Da esso si accede a un ulteriore chiostro interno che, dopo aver attraversato un disegno a terra simile a un gioco, giunge a una vera e propria Torre di Babele, con all’interno una scala a chiocciola che appare come un tendaggio da teatro. Anche il teatro, il gioco, le arti, possono portare in alto la coscienza, elevarla fino al cielo, ma anche queste finiscono con il cadere, sono effimere come tutto il resto. K20D8212

Ci inoltriamo fra varie piccole piscine che rispecchiano perfettamente il cielo e giungiamo accanto ad una formazione a mezzaluna con l’acqua dentro, statue di tritoni sui suoi bordi, colonne con teste e piedi di ninfe, due occhi stilizzati sulla parete principale, uno sormontato dalle ali e l’altro dalle corna: le due visioni della vita e dell’eros, una naturale e carnale e l’altra mistica e sublime. All’interno quasi un labirinto di stanzette e passaggi “segreti”.

Usciamo dall’altra parte della costruzione dove si para davanti ai nostri occhi nuovamente l’anfiteatro iniziale, visto però dalla parte opposta e dal basso. Al centro dei gradoni un’ampia bocca di mostro spalancato ci richiama ancora l’acqua. E’ come un inabissarsi e riemergere continuo, distruggere e costruire, vedere l’ombra e poi la luce.

Preso coscienza di ciò ci aspetta un ultimo sforzo: entriamo attraverso una grata alla quale è appeso uno scheletro, in un tunnel buio che ha alle pareti diversi simboli di ciò che nella vita possediamo o desideriamo: questo è il cammino della memoria, della prigione interiore, dell’annichilimento dei sensi e del riemergere delle nostre paure più profonde. Ma dopo l’opera al nero, la nigredo alchemica, vi è sempre l’albedo, l’opera al bianco e infatti si torna alla luce per trovarsi davanti una larga scala fatta di gradini che ricalcano la numerologia simbolica. Se ci si volta indietro si scorgono sul “palcoscenico” centrale di questo teatro, i disegni di strumenti musicali che ancora ci ricordano di non voltarsi indietro per non essere nuovamente affascinati e attratti da cose effimere, e dai sensi soddisfatti. No, saliamo, sempre sostenuti dall’eloquio continuo di Marco che sembra divertirsi ai nostri sensi e percezioni confusi e alle nostre conoscenze buttate all’aria. Giungiamo a una scala musicale che ci porta ancor più in alto per poi rientrare in un tunnel oscuro dal quale riemergiamo fra una rappresentazione di varie divinità e templi del mondo. Ancora un ultimo tunnel che accede a un piccolo antro nel quale per terra è disegnato uno specchio d’acqua con all’interno l’uomo vitruviano: siamo invitati a rientrare nell’utero materno, nel posto dal quale tutto ha avuto inizio. Idealmente ci immergiamo nel liquido di questo utero e ci muoviamo fino alla sagoma di un cuore: tutte le nostre certezze, i tentativi di capire, i sogni, le illusioni, le fantasie ci hanno portato a ricongiungerci con Dio, con il creato, con la terra in un ciclo continuo di morte e rinascita. E infatti gli ultimi pochi passi ci riportano, attraverso una porticina, sul prato antistante: ci giriamo e ci accorgiamo di essere stati in questo modo nuovamente partoriti dalla Madre Terra, come esseri nuovi, ma anche come esseri che hanno tutto da imparare della nuova vita.

Il nostro viaggio a La Scarzuola è finito, ma il raccolto è solo accennato e racconta solo una minima parte del simbolismo incontrato. Dai resoconti delle visite di altri, ci rendiamo conto che Marco conduce ogni volta le persone in un cammino diverso, cela alcuni passaggi ad alcuni e li svela da altri, in modo da far compiere un percorso iniziatico ed emotivo quasi personale e anche a noi non è stato concesso di vedere tutto ma di compiere un proprio percorso. Usciamo da quel luogo magico ammutoliti, con la sensazione di aver fatto emergere sensazioni ed emozioni compresse da tempo. Continueremo a pensarci a lungo e a cullare l’idea di voler tornare, certi di non aver ancora compreso appieno il senso della vita.

La Scarzuola è come una medicina: può avere effetti collaterali anche gravi.

Silvana Radoani

[1] Gabriele Rossetti: “Il mistero dell’amor platonico del medio evo”. Tratto da “MISTERI ANTICHI” opera in cinque volumi (III vol)

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